Amministratore della Cassa di Risparmio di Asti. Ancora impegnato per costruire un progetto riformista

Mauro Oddone
Andrea Gamba
Luciano Montanella

L'anziano signore con occhi irriverenti da ragazzo

Anna Bassignana

Quando ventiseienne entrai al Partito, Bruno Ferraris era nel gruppo delle personalità: rispettato, conosciuto, autorevole.
Fu così che lo conobbi e mi fece subito effetto quel “tu” d’uso che apparentemente livellava allo stesso piano chi aveva esperienze di vita con chi, giovane, cominciava allora un’esperienza di partito. Lo affiancai mentalmente a Gaeta: i mostri sacri del Partito.
Un secondo incontro avvenne quando il P.C.I. cambiò nome e, nelle vicissitudini e divisioni che seguirono, la sede che molti attivisti aveva unito in un irrepetibile ideale si svuotò di volontari. Era comunque imperativo da abitudine consolidata che alla data delle elezioni bisognasse portare al seggio le persone che avevano difficoltà nel muoversi. Bruno mi chiamò ed io diedi la mia disponibilità. Fu una bella esperienza. Conobbi alcune persone che furono responsabili della Resistenza in Asti.
Guidavo io perché Bruno, di temperamento nervoso, distratto ed impaziente, guidava male. Anzi malissimo.
Divenni autista ufficiale: il compito mi regalò altre sorprese. Conobbi così Bruno partigiano dai racconti che mi fece. Erano storie di quando ragazzo, era staffetta, erano storie di pericoli scampati oppure quando giornalista batteva a macchina articoli o testi per volantini, in clandestinità, infilato in una botte ovattata per spegnere il ticchettio. Mi raccontò della grande nevicata del ’43 che intralciò e mise in pericolo i partigiani operanti in zona. E fu a Bricco Lù, frazione di Costigliole d’Asti, all’ inaugurazione di una statua dedicata alla donna contadina che Bruno mi raccontò di come le donne che avevano ospitato di nascosto i partigiani rischiando di persona cancellassero le tracce delle ruote della camionetta dei ribelli che si spostavano, perché non fossero indizi per i fascisti.
Dipinto di Luciano Montanella.
Fui l’autista che lo accompagnò alla commemorazione di quattro giovanissimi partigiani nelle Langhe, uccisi perché denunciati dall’amante-spia di un gerarca.
Conobbi Bruno turbato e triste quando l’aiutai a portare le bandiere al funerale di vecchi partigiani. Toccava a lui rendere omaggio e l’ultimo saluto al compagno che se n’era andato. Ma una volta, mentre stava parlando, la sua voce si spezzò e lui prese a singhiozzare, abbassò la testa e non continuò. Mi chiese dopo, umiliato dalla sua debolezza, se avesse fatto una brutta figura.
Sì, conobbi quell’anziano signore che aveva occhi irriverenti da ragazzo. Era a volte pungente, spesso dispettoso, ironico, anziano nel fisico, giovane nella mente ed è difficile crederlo, ma era timido, come sa esserlo un ragazzo cresciuto in campagna da gente contadina, rigida e tenace, priva di effusioni ma forte negli affetti.
Ed in ultimo lo conobbi al suo funerale, dalla voce chiara e forte della Presidente della Regione Mercedes Bresso che rese omaggio all’uomo che nella sua modestia aveva taciuto ciò che di valido aveva fatto da Assessore Regionale: tutte le iniziative, le leggi a favore dell’agricoltura regionale. Non me ne aveva mai parlato e mi stupii, non disse mai la mole del suo lavoro neanche quando, in una sera di nebbia densissima, lo accompagnai alla Cantina Sociale di Castiglione Falletto dove fu premiato e ringraziato per quanto aveva fatto per loro, dai soci. Del resto, se da quella bara dove era ormai steso, nel giorno in cui molti vennero a salutarlo, fosse uscita la sua voce roca da sigarette, avrebbe detto: “ Si vince lavorando e non scaldando panche.” In definitiva in tutta la sua vita Bruno Ferraris ha dimostrato d’essere figlio di questa terra che l’ha reso forte e determinato, silenzioso e modesto e naturalmente fattivo.

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