L'impegno tra pubblico e privato

Una famiglia allargata

Mauro Squillari

Bruno era definito da tutti quelli che lo hanno conosciuto “una brava persona” e anche in famiglia è sempre stato visto così. Bruno era buono.
Soprattutto le sorelle, in quanto donne più sensibili, lo amavano in modo particolare, perché sapevano delle ristrettezze e dei sacrifici che aveva dovuto affrontare in seguito alle sue scelte di vita. È stato anche un buon zio verso noi nipoti e pronipoti. Partendo dai miei ricordi, la prima immagine che mi viene in mente è il giorno di Santo Stefano, il giorno in cui la famiglia Ferraris al completo festeggiava il Natale. Santo Stefano perché mio nonno, il padre di Bruno, si chiamava Stefano. Allora c’eravamo tutti, Stefano e Giulia i miei nonni, Angela detta Lina, Achille, Bruno e Consolata, i quattro fratelli, i relativi consorti con i figli, cioè io e altri cinque cugini.
Noi bambini aspettavamo i regali che Ciselda (si chiamava così, anche se tutti hanno sempre detto Giselda) distribuiva. Un’idea che mi sono fatto in seguito è che Bruno e Ciselda non fossero proprio a loro agio nel fare regali ai bambini, forse perché non hanno avuto figli; infatti passammo molto presto alla busta con i soldi, situazione in cui il regalo era democraticamente e rigorosamente uguale per tutti. Mia madre, poi, mi portava al mercato e con quei soldi si compravano due paia di calze e una maglietta di lana, facendo diventare quel regalo un po’ “materiale”, utile.
Questa tradizione di Santo Stefano proseguì fino alla metà degli anni Settanta, quando morirono i nonni. Andando avanti con gli anni ricordo un giorno in cui mia madre mi disse che a Bruno sarebbe piaciuto che qualche suo nipote avesse intrapreso un po’ la sua strada, scegliendo studi tipo scienze politiche, ma questo desiderio andò abbastanza deluso. Per motivi diversi sono io quello che ha seguito più da vicino la sua avventura politica, sia per motivi di studio sia arrivando a iscrivermi al Partito.
Gli altri nipoti hanno iniziato sin da giovani a lavorare nelle rispettive aziende agricole oppure hanno seguito il loro indirizzo scolastico dedicandosi alla professione: verso il Partito non c’era gran interesse. Va detto che a quei tempi in una provincia come l’Astigiano, dove tutto sapeva di DC, era ancora piuttosto impegnativo, addirittura stravagante, orientarsi verso un partito come il PCI. Altra cosa era in una grande città operaia come Torino dove io vivevo.
Naso giusto, bocca media... (1952).
E Bruno lo sapeva bene!! Lui aveva un padre molto tradizionalista, che si preoccupava di quello che poteva dire “la gente”, e una madre che era il classico modello casa, famiglia e chiesa, molto chiesa con tutti i condizionamenti di allora.
Infatti Bruno la sua formazione politica se l’è fatta a Torino dove ha frequentato gli studi alla scuola di tipografia salesiana, nell’oratorio di Don Bosco dove avrà trovato dei buoni maestri. Un fatto di quei tempi me lo raccontò mia madre dicendomi che Bruno un giorno lasciò la casa natia di Agliano per un certo periodo, erano gli anni della scuola di tipografia, quindi si ammalò per un’infezione polmonare che lo debilitò al punto che non riuscì ad andare a sostenere l’esame finale da tipografo.
Questo primo evento portò alla luce un punto debole nella sua salute che ricorrerà altre volte nel corso degli anni. Poi la guerra e le scelte politiche impedirono a Bruno di aprire una tipografia a Torino, come era nei programmi, dove avrebbe avuto anche l’aiuto di uno dei suoi maestri della scuola.
I suoi genitori, nonostante fossero ben lontani dall’idea comunista, non furono mai fascisti, anzi dopo l’8 settembre accolsero in casa i soldati sbandati nascondendoli in attesa del momento opportuno per fargli fare ritorno a casa, e nel periodo della lotta partigiana vennero ospitati diversi dirigenti politici della Resistenza: Marisa Ombra (Liliana), Ermes Audano (Pinotu), commissario della 98a Brigata Garibaldi con la sua squadra in missione, Bill, il vicecomandante della 5a Divisione Autonomi Monferrato in fuga da Vesime dopo lo scontro a fuoco del dicembre 1944 con i nazifascisti dove morì il capitano Tino, e molti altri ribelli. Tutto questo a rischio della vita dell’intera famiglia Ferraris o di vedere bruciata la casa.
Le sorelle di Bruno, Angela e Consolata, mi hanno più volte ricordato i momenti in cui dovevano preparare il pasto per dieci e più persone. Oppure il passaggio di militari sbandati che, transitando a piedi nella frazione Dogliano, chiedevano che direzione prendere per andare in Calabria.
Il fratello di Bruno, Achille, in età di leva, era nascosto con altri coetanei in campagna dentro una buca ricoperta da fascine: venivano rifocillati dalla sorella più piccola Consolata, che allora aveva dieci, undici anni e dava meno sospetti visto che la zona era piena di spie.
Essendo io nato a Torino, ho fatto tutto il mio percorso di studi nel capoluogo, dove politicamente si respirava un’aria molto più vivace rispetto alle scuole di provincia; Palazzo Campana e Palazzo Nuovo furono i simboli di quella ventata rivoluzionaria che è stato il ’68.
Quando frequentavo le Superiori, ricordo che Bruno era molto interessato a quello che succedeva nelle scuole e quindi mi “interrogava” su cosa pensassimo noi adolescenti di quello che stava accadendo nella società, quali iniziative avessimo in mente e se condividessimo le battaglie che il PCI portava avanti.
Io avevo capito che Bruno stava diventando un uomo importante per il PCI piemontese e avevo un briciolo di soggezione nel rispondergli, soppesavo bene le parole cercando di non fare figuracce.
All’Istituto Tecnico Industriale Pininfarina di Moncalieri prendemmo rapidamente confidenza con scioperi, cortei e occupazioni, gestiti e coordinati da iscritti alla FGCI che frequentavano la stessa scuola; eravamo quasi tutti figli di operai Fiat, l’autunno caldo era appena passato, Mirafiori era a due passi e tutti avevamo in mente le folle oceaniche che gremivano corso Settembrini. Questa è stata la mia formazione giovanile e un po’ Bruno l’ha influenzata. Con lui, come dicevo, parlavamo molto di queste cose, si entusiasmava e quando era proprio contento si sfregava energicamente le mani; non vi dico quando gli dicevo “vedrai che voteremo tutti a sinistra” e lui sempre sfregando le mani e con grande enfasi: “voteremo tutti PCI!!!”
Gli feci poi la previsione che le prime votazioni che sarebbero arrivate, la prima volta per me, sarebbero state un successo, e cosi fu: sia nel 1975 che nel ’76 le elezioni regionali e politiche sancirono il più grande successo del PCI e Bruno divenne assessore regionale all’Agricoltura con reincarico per due mandati. Il coronamento di un fantastico percorso di una persona con doti non comuni.
Il filo in comune con Bruno continuò.
Col fatto di avere avuto entrambi i nonni contadini, le mie radici pescavano in quei terreni calcarei del Sud Astigiano dove cresce bene la Barbera, per cui nel 1976 mi iscrissi alla facoltà di Agraria e fui orgoglioso come studente di avere uno zio assessore dell’agricoltura piemontese.
Lo vidi tante volte in assessorato al quinto piano di corso Stati Uniti perché la sede era sulla strada che facevo tutti i giorni, avemmo molti scambi di opinioni sulla materia agricola con curiosità reciproche da soddisfare, e cosi come ai tempi delle Superiori l’interrogatorio “bonario” di Bruno continuava alzando un po’ l’asticella dei contenuti; si parlava di come erano viste certe iniziative in agricoltura da parte degli addetti ai lavori nell’università e di tante altre cose. A quel punto io non avevo più soggezione a sostenere il discorso con lui.
Arrivarono gli anni ’90 e nacque il PD della sinistra. Ricordo Bruno parlare con sua sorella, mia madre, di questo cambio di nome del partito, ad un certo punto farsi serio e dire “chissà quante volte succederà ancora nei prossimi anni, ma io non ci sarò più”. Da grande conoscitore e osservatore della politica aveva capito che in futuro per il partito della sinistra, come era stato inteso fino ad allora, i tempi sarebbero cambiati, come sono poi cambiati per tutti i partiti.
Nella primavera del ’95, dopo l’alluvione del novembre 1994, con la mia famiglia mi sono trasferito a Asti, casualmente in via Brofferio a duecento metri dalla casa che Bruno ha abitato per molti anni. Dopo la morte di Ciselda, avvenuta nell’ottobre del 1996, prendemmo l’abitudine di invitare Bruno il sabato a pranzo visto che era solo e abitava a due passi. Arrivava con la vaschetta di gelato, con l’immancabile gusto al pistacchio, e in quelle occasioni eravamo tutti presenti, io, mia moglie e i due figli che arrivavano da scuola praticamente insieme a Bruno. Ricordo che a tavola venivano fuori gli stessi interessi e le stesse domande che aveva fatto a me studente, soprattutto con mio figlio Edoardo, il più grande, che allora frequentava i primi anni di liceo e mostrava grande curiosità verso Bruno e la sua storia.
Ai suoi funerali sarebbe stato proprio Edoardo a leggere l’orazione funebre a nome dei familiari.
In quelle occasioni, mentre eravamo a tavola, cercavamo di strappare a Bruno qualche notizia del periodo partigiano; ricordo con quale partecipazione seguimmo il racconto del viaggio ad Alessandria per portare l’ordine di insurrezione: si era nell’imminenza del 25 aprile e lui ricevette l’incarico di portare un documento al responsabile del gruppo partigiano di Alessandria. Era un foglio su cui erano indicate le modalità e i tempi per l’insurrezione finale contro i nazisti. Il foglio venne arrotolato in un tubetto che, a sua volta, venne inserito nell’intelaiatura metallica della bicicletta. A quel punto Bruno partì con destinazione Alessandria.
Arrivato sul rettilineo, dopo la frazione Barca un po’ prima di Nizza Monferrato, vide in lontananza una pattuglia tedesca con camion e motociclette che avanzava sullo stradone verso di lui; all’istante sfilò il tubetto dal telaio e lo lanciò sulla ferrovia che in quel tratto correva parallela allo stradone. Se lo avessero perquisito e avessero trovato il messaggio lo avrebbero fucilato sul momento; invece, quando si incrociarono, i tedeschi proseguirono per la loro strada. Quando furono sufficientemente lontani, Bruno ritornò indietro con la bicicletta, individuò il punto dove aveva lanciato il tubetto e una volta avvenuto il recupero riprese il tragitto per Alessandria, questa volta senza più problemi e fu così che il 28 aprile, alle ore 19, il CLN di Alessandria ottenne la resa del presidio nazista e il 29 entrarono le prime avanguardie alleate.
Ovviamente noi restavamo a bocca aperta ad ascoltare questi racconti. Bruno, nome di battaglia Perseo, prese i primi contatti con esponenti della Resistenza a Torino e poi a Nizza Monferrato; svolgeva funzioni di portaordini, staffetta e responsabile di zona del Fronte della Gioventù (FdG). Fece parte della 5a Divisione Autonoma poi 8a e 9a Divisione Garibaldi; quest’ultima divisione derivava dalla 2a Divisione Langhe Brigata Devic 3170. Fu responsabile del FdG (staffette). Oltre alla bicicletta pare che per certi spostamenti potesse usufruire di un calesse trainato da un vero purosangue messo a disposizione da una famiglia che collaborava con i partigiani.
Poi Bruno ci stupiva quando ci raccontava delle vicende con Ciselda, come quella volta a luglio, vestito di grigio scuro, camicia bianca e cravatta, scarpe di cuoio nere, quando partì dal paese di Celle Macra, in val Maira, con un signore che aveva da raccontare le vicende partigiane della zona. Parla tu che parlo io, arrivarono al colle del Mulo a 2500 metri dopo ore di cammino, e dopo altrettante ore ritornarono a Celle Macra: Bruno era imbiancato dalla polvere della mulattiera percorsa, la cravatta che pendeva da una tasca, la camicia aperta, non parliamo delle scarpe e lui stravolto dal caldo. Quando Ciselda lo vide lo sgridò per una settimana, e poi ancora… Che risate ci facemmo!!
Loro due amavano molto la montagna, da giovani l’avevano frequentata con il campeggio, poi più avanti con gli anni presero due stanze a Celle Macra.
Sempre durante i pranzi del sabato Bruno ci raccontava come normalmente passava le notti: a scrivere. Se si escludono le trasmissioni televisive in cui si parlava di politica e qualche raro film che trattava argomenti a sfondo sociale o un po’ rivoluzionari, la televisione rimaneva spenta e lui scriveva decine di pagine a notte: articoli o interventi che doveva tenere, prima come assessore all’agricoltura e poi, finiti i due mandati, per commemorazioni di partigiani, inaugurazioni o per discorsi legati a ricorrenze in festività particolari. Il suo intervento era spesso richiesto.
In quelle nottate, che terminavano alle due, tre del mattino, andavano in fumo decine di sigarette e l’aspetto visivo di questo insalubre rito era evidente sui dorsi dei libri della sua libreria che diventavano sempre più color nocciola. Quello che non si vedeva, purtroppo, lo vedemmo in seguito.
Un giorno una telefonata ci avvisò che Bruno aveva avuto un episodio acuto di prostatite e si era fatto convincere a essere operato; ultimamente aveva avuto diversi problemi. Quando arrivarono i primi esami di laboratorio, i classici che si fanno a una persona prima di un intervento chirurgico, capimmo subito che il problema della prostata era quello più piccolo. Di li a due, tre giorni le prime metastasi, che avevano già colonizzato i polmoni, arrivarono al cervello e nel giro di cinque, sei giorni Bruno perse gradualmente le attività cognitive e se ne andò senza dare disturbo a nessuno. Ciò avvenne talmente in fretta che pochissimi dei tanti di Asti che lo conoscevano riuscirono ad avere notizie di quello che stava succedendo. Tra questi ricordo l’incontro che ci fu un pomeriggio con Ivana Bione, storica segretaria del partito, e l’avv. Aldo Mirate, con cui Bruno era legato da vecchie battaglie politiche. Quel giorno, non lo potrò dimenticare, ebbi la conferma che la famiglia di Bruno era una famiglia molto grande, molto più di quello che dice l’elenco dei parenti.
L’ultima notte, grazie ai farmaci, non dovette soffrire mentre si apprestava a concludere il suo percorso; eravamo presenti io e mia cugina Franca, la più grande dei suoi nipoti, che lo ha seguito da vicino negli ultimi anni in cui non c’era più Ciselda.
Tante volte Bruno ci disse di volere scrivere un libro sulla sua storia e altrettante volte glielo abbiamo ricordato; purtroppo non si è reso conto, e nemmeno noi che gli eravamo vicino, che il tempo in un battibaleno gli è sfuggito di mano.
Sarebbe stata una bella storia a ricordarci chi è stato Bruno, ma chi ha avuto la fortuna di conoscerlo personalmente se lo porterà nel cuore e non lo dimenticherà; è a persone come lui che dobbiamo eterna gratitudine se abbiamo vissuto fino ad ora in un paese libero.
Estratto del ricordo dei famigliari letto ai funerali dal giovane Edoardo

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