Assessore alla Regione Piemonte

L'uomo giusto al posto giusto

Marco Cavaletto

Con l’immancabile sigaretta accesa in bocca, un’altra già si consumava nel posacenere, con gli occhialini da presbite sempre sulla punta del naso, Bruno Ferraris scriveva i suoi appunti con grafia minuta mentre ci parlava dei suoi obiettivi, degli obiettivi della Giunta Viglione, ma soprattutto ci illustrava le difficoltà per quei difficili rapporti con il mondo dell’agricoltura del tempo.
Dobbiamo ricordare che la vita nelle istituzioni era cadenzata e scandita dai due mondi della politica di contrapposizione e sempre in conflitto: la DC con i suoi alleati da un lato e il PCI con il PSI dall’altro. Nulla era scontato, tutto si doveva discutere per giungere a difficili mediazioni. Ma prima della cosiddetta “caduta del muro” questa era la politica e questa era anche l’Amministrazione.
Nel 1975, ovvero ad inizio della seconda legislatura regionale, il PCI diviene maggioranza in Regione Piemonte, grazie ad un avvocato del Partito Liberale (Carlo Felice Rossotto) che sposta l’asse dall’equilibrio paritario di 30 contro 30 consiglieri verso sinistra: con uomini del calibro di Viglione, Libertini, Baiardi, Sanlorenzo, Rivalta, Astengo, Simonelli e Ferraris, si avvierà la stagione più feconda della storia dell’istituzione regionale, con la produzione legislativa che pone le fondamenta della stessa Regione Piemonte, produzione legislativa che saprà resistere al tempo proprio per la qualità degli strumenti messi in atto. Ancora oggi, gli echi di quel periodo fertile che fu la seconda legislatura regionale si avvertono nelle leggi che vengono approvate tuttora dalla Regione Piemonte.
Bruno Ferraris, nel suo ruolo di esperto indiscusso della “questione agraria”, come si sarebbe chiamata nel gergo dei comunisti di quell’epoca, non poteva che essere l’uomo dell’agricoltura e delle foreste.
Ferraris era davvero un grande esperto di agricoltura perché conosceva a fondo il ruolo delle Associazioni (per anni alla guida dell’Alleanza dei Contadini, poi divenuta Confcoltivatori), ma soprattutto era un conoscitore di contadini, proprio per il ruolo avuto nell’Associazione ma soprattutto perché astigiano di Agliano, figlio di contadini: l’agricoltura della piccola proprietà contadina era il suo pane.
Era anche profondo conoscitore dell’istituzione regionale, voluta dalla Costituzione, ma nata soltanto nel 1970; in quegli anni le regioni stavano per ereditare le competenze dallo Stato, cosa che avvenne in modo organico nel 1977 (con il DPR 616/77). Fino a quel momento chi aveva in pugno le sorti degli agricoltori era da una parte il Ministero, con le decisioni assunte centralmente sulla base di leggi del Parlamento e di normative ministeriali, ma sul territorio il potere era in mano esclusivamente agli ispettorati agrari e alla Coldiretti: Il filo che legava gli uni all’altra era percepibile e i contributi alle imprese agricole, o le risorse per le opere di bonifica dei consorzi, oppure gli interventi nella sistemazione delle strade interpoderali e persino il risarcimento alle imprese in caso di danni alluvionali o grandine, erano decisi dagli ispettorati ma, in modo non visibile, dalla Coldiretti, che esercitava un potere determinante fuori e dentro l’Assessorato; gli ispettorati dipendenti dall’Assessorato all’Agricoltura quasi ignoravano le altre Associazioni: la Confcoltivatori, oggi Confederazione Italiana dei Coltivatori – denominata C.I.A. (erede della Alleanza dei Contadini) e la Confagricoltura (sul territorio denominata Unione Agricoltori).
Grazie alla vittoria del PCI e del PSI nella primavera del 1975, Bruno Ferraris varca il portone del palazzo di 8 piani di cemento, ferro e vetro di Corso Stati Uniti 21 (edificio appena demolito) sede dell’Assessorato regionale all’Agricoltura e Foreste, che contava, tra l’Assessorato in centro a Torino e più di una ventina di sedi periferiche, ubicate in tutte le province piemontesi, oltre 600 dipendenti.
Bruno Ferraris sapeva di doversi muovere con delicatezza ma altrettanta fermezza e determinazione in un ambiente a lui (e ai partiti di sinistra) certamente sfavorevole: i funzionari, i quadri e i dirigenti, la cui gran parte proveniva dai ruoli dello Stato, quindi ministeriali, si sentivano per necessità legati al grande carro della Coldiretti e, di conseguenza, della Democrazia Cristiana, da cui avevano atteso ordini e suggerimenti senza discutere. E’ quindi facile intuire come questi funzionari e dirigenti si potevano sentire un po’ sperduti per non aver più come referente un politico della Democrazia Cristiana, che amministrava in Regione fino a quel momento: tra il 1970 e il 1975, in realtà con ancora pochi poteri perché le deleghe statali giunsero solo nel 1977, ma al governo in quasi tutte le province e in tantissimi comuni piemontesi e che in tutto il Paese deteneva un potere enorme nel settore agricolo.
Ferraris già tre mesi dopo il suo insediamento allontanò qualche funzionario “chiacchierato” (che appunto aveva conosciuto nel suo precedente ruolo di responsabile della sua associazione), creò intorno a sé un gruppo di consulenti esterni (quasi tutti a titolo gratuito) ed un piccolo gruppo di funzionari, alcuni giovanissimi, con cui iniziò a lavorare alacremente.
Questo gruppo di persone eticamente responsabili, avendo a cuore l’interesse dell’ente sopra ogni cosa, si mise al lavoro; ma Ferraris, volendo allacciare un nuovo e proficuo rapporto con la struttura interna, valorizzò alcuni dirigenti seri e professionalmente preparati, realizzando nel corso dei 10 anni successivi le politiche più importanti nel settore dell’Agricoltura, delle Foreste e della Montagna piemontese e non solo piemontese.
Qui giova ricordare l’amicizia e la stima che Bruno Ferraris aveva per il ministro dell’agricoltura del tempo: Giovanni Marcora. I due si chiamavano regolarmente al telefono per concordare su alcuni temi perché la stima era reciproca, nonostante Marcora fosse un democristiano ma, come Bruno, partigiano nelle ultime fasi dell’occupazione nazifascista nella sua regione.
I due seppero instaurare un rapporto determinante, ricco di contenuti. Mentre il ruolo della Coldiretti e delle Associazioni in generale tendeva a normalizzarsi e a diventare meno aggressivo sulle istituzioni regionali, le Regioni (e la nostra in particolare) seppero costruirsi un percorso legislativo e normativo in grado di essere altamente funzionale per rendere l’agricoltura italiana più moderna e competitiva.
Ancora non si parlava di Conferenza dei Presidenti delle Regioni italiane, né era ancora nata la conferenza Stato – Regioni, ma il germe per la collaborazione interregionale in agricoltura nasce proprio in questi momenti, di grande fermento.
Prova del rapporto proficuo con il ministro Marcora è la redazione della prima legge regionale organica in agricoltura: la L.R. 63/78, una sorta di testo unico in materia di Agricoltura, Foreste e Montagna che la Regione adottò alla fine del 1978, fu una norma plasmata sul corpo della legge nazionale 984/77 (cosiddetta Legge Quadrifoglio) proprio perché gli interventi normativi regionali legati al finanziamento mirato alle “4 foglie del quadrifoglio”: coltivazioni pregiate, viticoltura, zootecnia e foreste, dovevano essere strumentali alla rinascita del settore agricolo da troppo tempo fermo in un ruolo più assistenziale che economicamente produttivo.
Grazie all’impianto legislativo regionale messo a punto, nonostante la diffidenza e le resistenze delle Associazioni agricole subite dalla Giunta presieduta da Aldo Viglione (ricordiamo sempre che la Giunta della seconda legislatura regionale, tra il 1975 e il 1980, si reggeva su una maggioranza risicatissima) Ferraris continuava a fare alta amministrazione, esercitando un ruolo politico di elevato livello.
D’altra parte quella Giunta è passata alla storia per aver saputo mettere dei pilastri nella legislazione regionale, in quasi tutti i settori su cui le regioni avevano competenze (ex DPR 616/77), di cui ancor oggi si possono vedere i forti ancoraggi. Dalla legge 56/77 voluta dal professor Giovanni Astengo, luminare a livello internazionale sulle questioni di natura urbanistica, alla Legge 57/79 proposta da Luigi Rivalta, sulla pianificazione territoriale e sul vincolo idrogeologico e ad altre numerose leggi sulla programmazione, sul lavoro e formazione professionale, sull’istruzione, sulla cultura. Il difficile rapporto con le Associazioni, che nel corso degli anni divenne meno impervio, non impedì all’assessore Ferraris di raggiungere importanti traguardi.
Nel settore vitivinicolo occorreva creare le condizioni per valorizzare il prodotto “vino del Piemonte” che nel corso degli anni tra il dopoguerra e i primi anni 70 aveva subito un forte deprezzamento.
Occorreva lavorare sugli agricoltori perché nelle vigne si cambiasse il passo per ottenere una minore produzione ma di maggior qualità, occorreva convincere il sistema delle “Cantine Sociali” – appartenenti al mondo della Cooperazione – ad essere più rigoroso in cantina, coadiuvato da tecnici valenti ma anche dall’Accademia (all’Università di Torino lavoravano e tuttora lavorano molti istituti di ricerca che hanno contribuito grandemente ad eliminare le adulterazioni o addirittura le sofisticazioni del prodotto finale); allo stesso tempo la Regione avrebbe fornito il suo contributo (politico ed economico) per promuovere in Italia e nel mondo il vino piemontese, la cui qualità incominciava a prendere corpo.
Evento promozionale a Costigliole.
Importanti campagne, ad esempio, vennero lanciate in quegli anni per valorizzare il Barbera (o la Barbera: anche queste sottili e divertenti battaglie terminologiche aiutarono ad affermare questo vino), grazie a bravi produttori che riuscirono a convincere i mercati interni e persino europei.
Ferraris in quegli anni intratteneva rapporti sia con i produttori vitivinicoli sia con gli industriali del settore. Il vino piemontese non sembrava avere un futuro roseo: occorreva innovazione e un po’ di coraggio. Grazie all’intelligenza di alcuni interlocutori (uno per tutti Renato Ratti, tra i migliori produttori vinicoli ma anche responsabile del Consorzio dell’Asti Spumante), Ferraris mise a punto il primo Accordo Interprofessionale per la pesatura delle uve Moscato.
Grazie a quest’accordo, che annualmente la Regione Piemonte ratifica con l’associazionismo agricolo e con le associazioni degli industriali del vino, il Moscato e soprattutto l’Asti Spumante tuttora costituiscono uno dei fiori all’occhiello dell’export piemontese (oltre 70 milioni di bottiglie di questi vini a base Moscato ogni anno varcano i confini della penisola per Stati Uniti, Germania e decine di altri paesi intra ed extraeuropei…). Sempre nel campo vitivinicolo, la promozione del vino in Italia e all’estero, le campagne mirate a valorizzare la coltura e la cultura del vino, associate alle prime Botteghe del Vino e soprattutto alla rete di Enoteche regionali, incominciano a dare risultati sorprendenti: le quattro Barbera e i numerosi Dolcetto finalmente vengono accolti tra i vini di alta qualità, come i più blasonati Barolo e Barbaresco.
Dal vino, campo prediletto da Bruno Ferraris, alla zootecnia di qualità.
Negli anni 70 questo settore era in forte crisi: grazie all’aiuto dell’assessorato alla Sanità e soprattutto di Mario Valpreda (medico veterinario dell’Istituto Zooprofilattico) Bruno Ferraris avvia una forte campagna di risanamento del patrimonio bovino. Con abbattimenti di migliaia di capi di bestiame affetti da tubercolosi, nonostante la forte resistenza delle associazioni agricole e degli allevatori, il patrimonio bovino, ridotto di una impressionante percentuale, si salva e viene rilanciato con accorte politiche di valorizzazione della qualità della carne piemontese. L’Assessorato favorisce ad esempio la nascita del Consorzio COALVI, mette a disposizione gli strumenti per il risanamento degli allevamenti e delle loro stalle e favorisce la costruzione di moderni impianti caseari per la produzione di formaggi a DOP.
Delegazione regionale in Corea del Nord.
Delegazione regionale in Corea del Nord.
Anche nel settore delle Foreste e della Montagna Bruno Ferraris è stato capace di essere un innovatore. Infatti fino a quel momento la gestione del patrimonio forestale piemontese (analogamente a quanto succedeva in tutte le regioni italiane) era esercitata da funzionari esecutivi delle Regioni ma sotto la direzione del Corpo Forestale dello Stato. Ovvero, non si era ancora applicata interamente la norma prevista dal DPR 616/77 (il passaggio delle competenze dallo Stato alle Regioni).
Grazie alla collaborazione del generale Attilio Salsotto che era il responsabile regionale del Piemonte del Corpo Forestale dello Stato (ma era contemporaneamente generale di Divisione a Roma del CFS con competenza sul personale del Ministero nel comparto forestale) si addivenne ben presto alla prima Convenzione tra lo Stato e la Regione Piemonte per il passaggio di competenze. Il Piemonte fu la prima regione ad ottenere le deleghe, con la firma della prima Convenzione.
Il generale Salsotto, nei mesi successivi, ottenne la collaborazione delle altre regioni italiane per la sottoscrizione di analoghe convenzioni, sulla falsariga dell’accordo raggiunto in Piemonte.
Ma anche nel segmento Montagna Ferraris fu un innovatore: grazie alla collaborazione con Piero Bassetti (primo presidente della Regione Lombardia, già presidente di Unioncamere, uomo di ingegno istituzionale, di grandi capacità operative) e di Edoardo Martinengo, esponente della Democrazia Cristiana piemontese, presidente nazionale dell’UNCEM, il Piemonte riuscì a dare vita ad un organismo interregionale e transnazionale, che ha preceduto l’attuale Convenzione delle Alpi (CIPRA), di cui facevano parte oltre a tutte le regioni italiane subalpine anche le regioni frontaliere alpine di Austria, Francia, Germania, Principato di Liechtenstein, Slovenia e Svizzera.
Oggi sembrerebbe facile avviare rapporti con la Slovenia (all’epoca questo Stato era collocato nella Federazione della Jugoslavia, che all’epoca pur non essendo ancorata alla sfera di influenza dell’ex Unione Sovietica – come Paese Non Allineato – qualche resistenza avrebbe potuto averla). Ma grazie a questi primi e timidi tentativi di porre le tematiche alpine al di sopra delle differenze di visione politica generale, si stava costruendo una relazione che solo con i Trattati di Maastricht e di Lisbona vide la sua realizzazione.
Parla il presidente regionale Viglione.
Il fidato autista Giacomino.
Poco per volta i funzionari degli ispettorati provinciali agrari (vecchia denominazione, eredità dei tempi ministeriali), degli uffici provinciali delle Foreste, degli Utenti Motori Agricoli (che fornivano carburanti a prezzo agevolato) e dell’Assessorato regionale all’Agricoltura e Foreste si uniformano a questo nuovo modo di governare: con interesse e buona volontà la grande maggioranza dei funzionari assicura a Bruno Ferraris la collaborazione leale e professionalmente apprezzata.
Ferraris non ebbe vita facile in assessorato e soprattutto nel mondo dell’associazionismo agricolo; ma era testardo e conosceva bene il mondo contadino: lui era un contadino, figlio di contadini, voleva bene alla sua terra, ad Asti, ad Agliano e al Piemonte. Non avrebbe potuto fare null’altro di più e ciò che ha fatto lo ha fatto straordinariamente bene! 1978 al 1985

Sede Legale: Asti, Piazza Statuto 1
Sede Operativa: Asti, Corso Casale 162

P.Iva: 92055230053